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Il 28 Aprile alle 22 il racconto Janine apparso su Caffè Letterario è diventato il testo base della puntata di Mess is more il mio programma settimanale su Libertalia Radio.

La puntata andrà in replica domenica 30 Aprile sempre alle 22.

La playlist Spotify della trasmissione è questa:

La vide. Come ogni mattina d’altronde. Se la trovò davanti con quella stupida espressione assonnata che le dava anche un po’ sui nervi.
«L’ha visto?»
«Cosa?»
Fece un gesto di stizza, «se mi chiede cosa non ha visto nulla. O non ha voluto vedere nulla.»
Anche quella fece un gesto di disappunto, «e perché non avrei voluto, di grazia?»
La ignorò perché non aveva voglia di discutere.
«Comunque non l’ha visto.»
«Ma chi era?», domandò con aria interessata.
«Bisognerebbe chiedersi, cosa. Cosa era?»
«Ahm, ok», fece, «cosa era?»
«Un muoversi, lento. Poi veloce. Uno scivolare ecco.» La osservò, «ha presente lo scivolare? Su quel versante.» Indicò un punto, con tutta evidenza lontano.
«Ma uno scivolare di cosa?»
«Di cosa o di chi?», domandò perplessa.
«Santo cielo», sbuffò, «me lo ha detto lei di chiedere cosa e non chi.»
«Quando?»
«Quando? Ma giusto ora!» urlava quasi, poi però torno di colpo calma. Si guardò intorno, «è una bella giornata oggi.»
Guardò fuori dalla finestra, «e sì, sembra proprio un bella mattina.»
«Potremo andare in giro un po’, arrivare sino alla spiaggia.»
Sorrise; per un attimo sorrise come rallegrata dalla proposta. Compiaciuta. Poi si riebbe con una smorfia, «ma come le viene in mente?»
«Ha già un impegno?»
«Ma come pensa che si possa andare in giro insieme. Vuole che mi porti appresso questo affare?» con un gesto indicò tutto intorno.
«Non si può?»
«Penserebbero tutti che siamo pazze.»
«E non lo siamo?»
«Che io sappia no.»
«Bisognerebbe informarsi. Se lo fossimo allora potremmo anche fare una passeggiata insieme. Un’ora d’aria è concessa financo ai pazzi.»
«Lei conosce qualcuno a cui chiedere? Di noi due di sicuro quella meno sana di mente è lei. Mi scusi eh, ma è evidente.»
Quella lì annuì sconsolata, «è da un po’ che lo penso anche io, ma dovrei almeno fare una visita. Degli esami.»
«E perché non lo fa? Magari agendo per tempo, con una buona cura. Chissà.»
«Oh bella questa. Ma se nemmeno vuole fare una passeggiata come pensa che potrei andare a consulto. E da sola.»
«Pare che ogni cosa adesso sia colpa mia. Ogni volta colpa mia», disse scoppiando a singhiozzare.
Si fermò perplessa. Forse aveva esagerato e sì, si sentiva un po’ in colpa.
«Via, non faccia così, una soluzione la si troverà. Vedrà che si risolve. Potrebbe parlare con sua figlia. Dovrebbe aiutarla di più sua figlia. La vedo poco presente.»
La guardò con aria stupita. «Mia figlia? Ma, che io ricordi non mi sembra di avere figli. Avessi partorito dovrei ricordarlo no?»
«E magari era un cesareo e l’hanno assonnata. Oppure, sì ecco, possibile che l’abbia adottata?»
«Chi?»
«Sua figlia dico. Che sia adottata?»
«Ma che dice io non ho figli.»
«Davvero? Ma allora cambia tutto.»
«Che cambia?»
«Tutto. E si vede che ci devo parlare io.»
«Con chi?»
«Con sua figlia, mica lo può fare lei che non la ricorda?»
Sorrise grata.
«Davvero lo farebbe per me?»
«Ma certo, se non ci aiutiamo tra di noi.»
Rimasero in silenzio come aspettando qualcosa, come se mancasse qualcosa. Poi quella si decise a parlare.
«E però!»
«Cosa?»
«E però come faccio a riconoscerla?»
«Chi?»
«Sua figlia. Io non l’ho mai vista. Le somiglia almeno?»
«Non saprei? Neanche io l’ho mai vista.»
«E questo è un problema, perché se né io né lei l’abbiamo mai vista come si fa a trovarla e parlarci?»
«E no, non è facile. Così è come se non esistesse. Che poi è quello che credevo fino a poco fa.»
«E poi che è successo che ha cambiato idea?»
«Che lei ha deciso di parlaci.»
Tornò il silenzio.

La ragazza scostò appena la porta e guardò dentro. La situazione le sembrò tranquilla e avrebbe avuto il tempo di preparare le ultime cose per la colazione. Percorse il piccolo disimpegno e guadagnò la cucina. Tra mezz’ora la figlia sarebbe arrivata come ogni giorno ed era bene che trovasse la madre con il tavolino apparecchiato. Prese dallo scaffale due tazze colorate e le sistemò una per ogni vassoglietto di legno chiaro. In un piattino mise i biscotti al burro e nelle ciotoline bianche un paio di cucchiaini di marmellata di arance. Guardò il tutto per controllare che non mancasse nulla. Sistemò in ordine ogni cosa sul carrello e si diresse nuovamente verso la camera della signora. Alle pareti le foto di scena la ritraevano insieme ai tanti amici che allora le stavano intorno.
La ragazza pensò che doveva essere stato un mondo strano quello. Ognuno di loro le ricordava qualcosa, un ritaglio di giornale che sua madre collezionava nella scatola di latta rossa. Un servizio in TV la sera, quando il padre stanco si piazzava sul divano del piccolo soggiorno.
Bussò delicatamente e aprì la porta. La signora stava ancora davanti alla toletta e nel vederla entrare interruppe bruscamente la conversazione.
«La colazione signora. Ho portato anche qualcosa per sua figlia che tra poco arriverà di sicuro.»
Aveva un bel sorriso la signora e senza aggiungere nulla la ringraziò con un piccolo inchino.
«Che carina», le disse quella.
«Sì, è davvero un amore», rispose la signora guardando la ragazza disporre tutto sul tavolino vicino la finestra.
«Ma quindi lei sembra conoscere sua figlia.»
«Non credo, vive qui con me. A dir la verità non saprei dire come mai, ma non mi pare gentile chiederle.»
«No, sarebbe scortese. Magari deve essere stato in quel giorno di pioggia.»
«Quale?»
«Ma qualche mese fa, vedevo scendere il diluvio dietro la finestra e se si ricorda si è allagato tutto lo scantinato.»
«Oh certo, adesso ricordo. Dovettero venire i pompieri a cacciar fuori tutta quell’acqua. Ma cosa c’entra con la ragazza?»
«Dico, sarà stata fuori quelgiono lì e la pioggia l’avrà colta di sorpresa. Si sarà rifugiata in casa e poi si è trovata bene ed è rimasta.»
«Già, non vedo altra spiegazione. Ed è scortese chiederle di andarsene.»
«Ma certo. E poi di tutta questa casa che se ne farebbe da sola?»
«Prepara la colazione. È tanto carina.»
«Tanto carina.»

La ragazza con un sorriso si chiuse la porta dietro e si avviò verso l’ingresso. Dovevano aver suonato perché aveva aperto la porta di ingresso e in piedi attendeva qualcuno, scrutando i grandi quadri astratti che pendevano dalle pareti.
La donna comparve sull’uscio.
«Buongiorno Maria, come va stamane?»
«Come sempre, signora.»
«Sempre in amabile compagnia?»
«Credo di sì, stava conversando quando le ho portato la colazione.»

La donna sospirò appena, poggiando il paltò chiaro sulla poltroncina di mogano.
Percorsero insieme la galleria di vecchie memorie che anticipava la stanza della signora. Locandine ingiallite di vecchi teatri si susseguivano tra foto di premiazioni e interviste. La donna ogni volta non poteva non notare in quegli scatti il vertiginoso décolleté, che confrontava con il suo misero equipaggiamento. Neanche quello aveva preso dalla madre, schiva e affezionata ai suoi studi giuridici, nessuna smania artistica e di protagonismo. Lontana da riflettori e palcoscenici.
Ruotò con cautela la maniglia e osservò per un attimo la madre dialogare, anche con una certa foga, con la sua ospite. Si fermò un secondo a riflettere su quella definizione. Ospite alla fine era l’unico termine corretto, visto che quella figura albergava in quella stanza da mesi, giorno e notte, tenendole compagnia.
«Che bella sorpresa», le disse appena la notò entrare nella stanza.
«Vede quante amiche che la vengono a trovare?» sottolineò quella.
«E già, devo aver lasciato un buon ricordo. Ma prego signora si accomodi, stavo proprio per bere il mio caffè. Vuole farmi compagnia?»
La donna rispose che sì, avrebbe davvero gradito e prese posto sulla sedia che la ragazza aveva spostato vicino al tavolino. Riflessa allo specchio osservava il viso ormai scavato della madre. Conservava un tratto malizioso che gli anni e gli acciacchi non avevano oscurato.
«Adesso mi scusi, ma devo dedicare del tempo alla mia amica che è venuta a trovarmi.»
«Certo, capisco», disse quella, «ci rivediamo più tardi comunque. Anzi chieda a lei se ci può dare notizie di sua figlia. Magari la conosce.»
«Proverò, ma lo ritengo poco probabile. A più tardi.»
Poi rivolgendosi nuovamente alla donna le fece un grande sorriso.
«Bene. Ora sono tutta per lei», e come se si fosse di colpo ricordata di qualcosa, «ma che sbadata. Non vi ho nemmeno presentate.»
Nel dirlo si rivolse ancora una volta verso lo specchio dove incrociò gli occhi riflessi della figlia. E quelli sì quelli erano i suoi, il grigio verde chiaro che aveva ammaliato schiere di umonini in gioventù.
«In realtà non ricordo adesso come si chiama la signora che c’era prima. Stava qui, giusto dove ora sta quello specchio. Deve avercelo spostato la ragazza. Ha visto che era andata via e lo deve avere spostato.»
Poi rivolta alla donna con aria mortificata, «non ricordo più quasi nulla, neppure più il mio nome. Non è che per caso lei lo conosce?»
La donna increspò le labbra in un sorriso stanco, «Janine, mamma. Janine.»

Mess is more del 28 Aprile 2023

Pubblicato: 27 aprile 2023 in Uncategorized

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Foto Flickr: https://flic.kr/p/pxGPBG

Il 28 Aprile alle 22 il racconto Janine apparso su Caffè Letterario sarà il testo base della puntata di Mess is more il mio programma settimanale su Libertalia Radio.

La puntata andrà in replica domenica 30 Aprile sempre alle 22.

Vi aspetto

Quegli occhi

Pubblicato: 10 marzo 2023 in Uncategorized

Amaura the wolfdog
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Il racconto è già apparso su Caffè Letterario

È il testo della puntata del 10/3/2023 di Mess is more su Libertalia Radio

La playlist della trasmissione è questa

Ancora una volta le orme sparivano sul muro. Quel dannato animale usava trascinare le sue vittime sin lì e poi in qualche modo oltre, arrampicandosi sui blocchi ruvidi. La scia di sangue ancora fresco non lasciava infatti dubbi che quella fosse la dinamica solita, e che inutile era stato ogni precauzione impiegata.
Sconsolata si girò dietro a guardare le tre galline superstiti che come se nulla fosse s’erano rimesse a beccare sull’aia, dimentiche o insensibili della sorte toccata alla loro sorella.
Marta spense la torcia e provò ad ascoltare i rumori della sera. Erano i soliti, ma lì fuori da qualche parte quel predatore stava banchettando ancora una volta, con le sue galline per giunta. Ogni tanto il rumore di un’auto le ricordava la strada oltre la stalla che il comune le aveva costruito accanto, fagocitando il pezzo di prato e i due pini che stavano in quel punto dai tempi di Noè almeno. Poggio la vanga a terra e sospirò ancora davanti alla scia rossa sul muro screpolato.
La campanella del passaggio a livello si mise ad annunciare un treno in transito. Marta guardò l’orologio: venti minuti di ritardo pensò. Lasciò cadere l’arnese a terra, si ripulì le mani con uno straccio che stava su una cassa e guadagnò il cancelletto di legno sgangherato dal quale si accedeva al viottolo. Non era tanta la strada, ma come sempre preferiva andarle incontro. Angela partiva la mattina presto dopo colazione e tornava all’imbrunire. Non avevano grandi momenti da passare insieme e un po’ le pesava, ma alla fine la scelta di lavorare in negozio era stata ovvia: i soldi ci servono, aveva detto, e l’orto oramai non bastava più. Lei avrebbe portato un fisso e Marta avrebbe mandato avanti l’azienda insieme ai due lavoranti.
Come sempre, svoltata la curva tra i rovi, in fondo alla striscia di terra battuta rossastra, la vide arrivare. La salutò con la mano e Angela rispose con un cenno che le indicava di fermarsi dov’era per aspettarla. Come sempre Marta ignorò il consiglio e la raggiunse all’altezza della cappelletta rossa. Non la rimproverava più Angela, perché sapeva che le faceva piacere raggiungerla, darle un bacio e poi per mano rifare il tratto insieme fino a casa. Della gallina non le disse nulla durante il percorso, ma appena entrata Angela notò subito le tre superstiti e il muro imbrattato, e si fermò interrogativa: ancora? Chiese.
Marta fece segno di sì: tre metri di muro sembravano non bastare nemmeno e non c’era molto da fare. In realtà si poteva conficcare del vetro rotto di bottiglia sulla sommità, ma tacitamente le due avevano sempre scacciato quell’idea. Paura di provocare ancora morte forse o pietà verso quel selvaggio esponente di un mondo animale, che provava solo a ritagliarsi uno spazio di sopravvivenza. Nient’altro in fondo che sopravvivenza.
Lasciarono scorrere via quel brutto pensiero e cenarono come loro solito sul tavolo lungo della cucina. Stavano vicine e ogni tanto scambiavano una tenerezza, un cenno d’intesa. Marta però teneva sempre un orecchio vigile sui rumori che provenivano da fuori, anche quando finito tutto s’era attardata a rassettare. Angela s’era schernita provando ad offrirle il suo aiuto, ma con gentilezza Marta l’aveva invitata a prepararsi per la notte. Avevano davanti una altra giornata di lavoro l’indomani e bisognava farsi trovare pronte. Avrebbero avuto tutto un fine settimana lungo per stare insieme.
Marta aveva sparecchiato con lentezza, muovendosi piano sulla maiolica del pavimento, poi era uscita fuori per accoccolarsi sul ballatoio, seminascosta nell’ombra del piccolo vano della porta. Dagli alberi sul confine arrivavano stridii e pigolii, che raccontavano di un mondo che popolava quelle chiome e uno stormire ritmico delle fronde alla brezza serale. Ogni tanto, un leggero rumore di foglie secche calpestate rivelavano che qualcosa si stava muovendo anche al suolo.
Angela, nella stanza di sopra aveva spento la luce centrale della camera e il chiarore tenue della abat-jour non spezzava più il buio del cortile. Marta dal suo anfratto percepiva distintamente il muro imbrattato di sangue, mentre il pollaio da lì rimaneva celato dalla casa e in apparenza addormentato. Non faceva freddo e lentamente Marta iniziò a vagare con la mente nei ricordi dei mesi scorsi. C’era una bicicletta poggiata a quel muro e una festa dentro. Un compleanno. Musica che faceva tremare i vetri e il vociare di una piccola folla di invitati.
Un tonfo leggero la costrinse a rientrare nel suo tempo. L’ombra si delineò nel buio scivolando morbida. Marta si tirò su e prese dall’angolo il bastone che aveva preparato. Poi ebbe un ripensamento e lo poggiò nuovamente nell’angolo. Con piccolissimi gesti iniziò a muoversi, schiacciata sul muro. Ogni tanto una pietruzza o un frammento di ramo toccava il piede e la costringeva ad alzarlo prima che il rumore ne rivelasse la presenza.
L’ombra intanto si muoveva senza suono, un fantasma liquido nella pece della notte che però avanzava inesorabile. Si disse che non era un affare preoccupante dalle dimensioni e forse per questo Marta aveva lasciato di canto il bastone. Troppo ingombrante per muoversi furtiva. In realtà in mente sua quell’incontro era una cosa diversa, incruenta. Aveva già visto quella testa avanzare nella notte e un flash di luce illuminare gli occhi. Due macchie azzurre intense che coloravano il buio. D’istinto spostò lo sguardo sul muro. E non c’era la bicicletta, no. Ebbe un brivido, una scossa che risalì la schiena rapida. Riprese il controllo del respiro che si era d’improvviso frammentato in caotici singulti.
Calma si disse, calma. Occhi così ne esisteranno milioni, pensò tastando la tasca in cerca del piccolo involto. Lo aveva raccolto dalla tavola a cena in un tovagliolo usato. Angela aveva fatto finta di niente. Aveva smesso di stupirsi da un po’ e iniziato a capire, per questo dall’alto guardava sporgendosi appena per non farsi vedere dalla finestra.
Marta sfruttò la griglia dei rampicanti per passare non vista dietro il pollaio. Da lì in un balzo sarebbe spuntata dal nulla di fronte all’ombra. Provò a non pensare agli occhi per non sentire ancore quel brivido; non c’era tempo e tutto doveva essere rapido, un secondo di errore e ci sarebbe stata ancora una fuga. Angela dal suo nascondiglio vedeva solo la macchia nera scivolare sul terreno. Lenta ma implacabile. D’un tratto però immobile, come se un improvviso vento gelido l’avesse cristallizzata. E invece era Marta d’improvviso apparsa da dietro il piccolo capanno di mattoni rossi ad averla sorpresa.
Gli occhi, pensò Marta, gli occhi non lasciavano dubbi. L’animale fiutò il vento combattuto tra la ritirata e la curiosità di sapere cosa quell’odore riservava. Lentamente Marta tirò fuori l’involto e dalla carta liberò i pezzi di carne e ossa che aveva trafugato a cena. Angela la vide avanzare di due passi e deporre a terra il cibo, ritornando subito dietro. L’animale fiutò ancora. Guardò la carne. Guardò Marta. Gli occhi scintillavano nel buio. Marte fece un cenno di assenso con la testa, mentre il brivido percorreva ancora le ossa della schiena. L’animale avanzò, tenendole d’occhio le mani.
Sapevo che non mi avresti abbandonata davvero, disse Marte. L’animale chinò il muso e provò a leccare un pezzo invitante.
È l’arrosto che ti piaceva, ricordi? Lo faceva mamma d’inverno. Con le castagne. L’animale addentò con voracità, lavorando di mandibola per avere la meglio sull’osso.
Non è stato facile sai? Ma sapevo che eri rimasto qui intorno, che avresti vigilato su me e Angela, ecco.
L’animale girò il capo verso il muro. Poi tornò a guardare Marta.
Era ridotta malissimo la bicicletta. La polizia ce la ridiede indietro dopo le analisi, ma Angela ha detto che era meglio buttarla via. Non se la sentiva di vederla sempre lì poggiata. Forse ha avuto ragione.
L’animale le concesse un ultimo sguardo prima di girarsi e trotterellare verso il muro. Gli occhi erano i suoi; ora che li aveva visti così da vicino non aveva più dubbi e lui era lì intorno, ma non avrebbe più fatto male alle sue galline. Di questo era certa. Aveva solo fame e adesso ci avrebbe pensato lei, come sempre, come quando erano piccoli e la mamma era nei campi.
Angela, dall’alto aveva visto l’animale balzare sulla cassa poggiata al muro e guadagnare la cima per scomparire oltre in un rumore di foglie e rami spezzati. S’era messa sotto le coperte, fingendo di aver già preso sonno. Marta era entrata nella stanza e lentamente s’era svestita e distesa accanto. Sul comodino la foto di lei e del fratello brillava alla luce tenue della luna nel frattempo sorta. Stavano abbracciati e lui cavalcava la bicicletta nuova fiammante, nella sua tenuta da corsa. Sorrideva e i suoi occhi, quegli occhi, erano quelli dell’ombra che nella sua tana provava a trovare pace.
Angela accennò un sorriso e con dolcezza le strinse una mano.

Mess is more del 10 marzo 2023

Pubblicato: 9 marzo 2023 in Uncategorized

Venerdì 10 marzo 2023 Mess is more avrà come testo un mio racconto.

Un’ora di parole e musica per chiudere la settimana.

Vi aspetto alle 22 come sempre su Libertalia Radio