Foto Flickr: https://flic.kr/p/2hCob4d
Il racconto è già apparso su Caffè Letterario
È il testo della puntata del 10/3/2023 di Mess is more su Libertalia Radio
La playlist della trasmissione è questa
Ancora una volta le orme sparivano sul muro. Quel dannato animale usava trascinare le sue vittime sin lì e poi in qualche modo oltre, arrampicandosi sui blocchi ruvidi. La scia di sangue ancora fresco non lasciava infatti dubbi che quella fosse la dinamica solita, e che inutile era stato ogni precauzione impiegata.
Sconsolata si girò dietro a guardare le tre galline superstiti che come se nulla fosse s’erano rimesse a beccare sull’aia, dimentiche o insensibili della sorte toccata alla loro sorella.
Marta spense la torcia e provò ad ascoltare i rumori della sera. Erano i soliti, ma lì fuori da qualche parte quel predatore stava banchettando ancora una volta, con le sue galline per giunta. Ogni tanto il rumore di un’auto le ricordava la strada oltre la stalla che il comune le aveva costruito accanto, fagocitando il pezzo di prato e i due pini che stavano in quel punto dai tempi di Noè almeno. Poggio la vanga a terra e sospirò ancora davanti alla scia rossa sul muro screpolato.
La campanella del passaggio a livello si mise ad annunciare un treno in transito. Marta guardò l’orologio: venti minuti di ritardo pensò. Lasciò cadere l’arnese a terra, si ripulì le mani con uno straccio che stava su una cassa e guadagnò il cancelletto di legno sgangherato dal quale si accedeva al viottolo. Non era tanta la strada, ma come sempre preferiva andarle incontro. Angela partiva la mattina presto dopo colazione e tornava all’imbrunire. Non avevano grandi momenti da passare insieme e un po’ le pesava, ma alla fine la scelta di lavorare in negozio era stata ovvia: i soldi ci servono, aveva detto, e l’orto oramai non bastava più. Lei avrebbe portato un fisso e Marta avrebbe mandato avanti l’azienda insieme ai due lavoranti.
Come sempre, svoltata la curva tra i rovi, in fondo alla striscia di terra battuta rossastra, la vide arrivare. La salutò con la mano e Angela rispose con un cenno che le indicava di fermarsi dov’era per aspettarla. Come sempre Marta ignorò il consiglio e la raggiunse all’altezza della cappelletta rossa. Non la rimproverava più Angela, perché sapeva che le faceva piacere raggiungerla, darle un bacio e poi per mano rifare il tratto insieme fino a casa. Della gallina non le disse nulla durante il percorso, ma appena entrata Angela notò subito le tre superstiti e il muro imbrattato, e si fermò interrogativa: ancora? Chiese.
Marta fece segno di sì: tre metri di muro sembravano non bastare nemmeno e non c’era molto da fare. In realtà si poteva conficcare del vetro rotto di bottiglia sulla sommità, ma tacitamente le due avevano sempre scacciato quell’idea. Paura di provocare ancora morte forse o pietà verso quel selvaggio esponente di un mondo animale, che provava solo a ritagliarsi uno spazio di sopravvivenza. Nient’altro in fondo che sopravvivenza.
Lasciarono scorrere via quel brutto pensiero e cenarono come loro solito sul tavolo lungo della cucina. Stavano vicine e ogni tanto scambiavano una tenerezza, un cenno d’intesa. Marta però teneva sempre un orecchio vigile sui rumori che provenivano da fuori, anche quando finito tutto s’era attardata a rassettare. Angela s’era schernita provando ad offrirle il suo aiuto, ma con gentilezza Marta l’aveva invitata a prepararsi per la notte. Avevano davanti una altra giornata di lavoro l’indomani e bisognava farsi trovare pronte. Avrebbero avuto tutto un fine settimana lungo per stare insieme.
Marta aveva sparecchiato con lentezza, muovendosi piano sulla maiolica del pavimento, poi era uscita fuori per accoccolarsi sul ballatoio, seminascosta nell’ombra del piccolo vano della porta. Dagli alberi sul confine arrivavano stridii e pigolii, che raccontavano di un mondo che popolava quelle chiome e uno stormire ritmico delle fronde alla brezza serale. Ogni tanto, un leggero rumore di foglie secche calpestate rivelavano che qualcosa si stava muovendo anche al suolo.
Angela, nella stanza di sopra aveva spento la luce centrale della camera e il chiarore tenue della abat-jour non spezzava più il buio del cortile. Marta dal suo anfratto percepiva distintamente il muro imbrattato di sangue, mentre il pollaio da lì rimaneva celato dalla casa e in apparenza addormentato. Non faceva freddo e lentamente Marta iniziò a vagare con la mente nei ricordi dei mesi scorsi. C’era una bicicletta poggiata a quel muro e una festa dentro. Un compleanno. Musica che faceva tremare i vetri e il vociare di una piccola folla di invitati.
Un tonfo leggero la costrinse a rientrare nel suo tempo. L’ombra si delineò nel buio scivolando morbida. Marta si tirò su e prese dall’angolo il bastone che aveva preparato. Poi ebbe un ripensamento e lo poggiò nuovamente nell’angolo. Con piccolissimi gesti iniziò a muoversi, schiacciata sul muro. Ogni tanto una pietruzza o un frammento di ramo toccava il piede e la costringeva ad alzarlo prima che il rumore ne rivelasse la presenza.
L’ombra intanto si muoveva senza suono, un fantasma liquido nella pece della notte che però avanzava inesorabile. Si disse che non era un affare preoccupante dalle dimensioni e forse per questo Marta aveva lasciato di canto il bastone. Troppo ingombrante per muoversi furtiva. In realtà in mente sua quell’incontro era una cosa diversa, incruenta. Aveva già visto quella testa avanzare nella notte e un flash di luce illuminare gli occhi. Due macchie azzurre intense che coloravano il buio. D’istinto spostò lo sguardo sul muro. E non c’era la bicicletta, no. Ebbe un brivido, una scossa che risalì la schiena rapida. Riprese il controllo del respiro che si era d’improvviso frammentato in caotici singulti.
Calma si disse, calma. Occhi così ne esisteranno milioni, pensò tastando la tasca in cerca del piccolo involto. Lo aveva raccolto dalla tavola a cena in un tovagliolo usato. Angela aveva fatto finta di niente. Aveva smesso di stupirsi da un po’ e iniziato a capire, per questo dall’alto guardava sporgendosi appena per non farsi vedere dalla finestra.
Marta sfruttò la griglia dei rampicanti per passare non vista dietro il pollaio. Da lì in un balzo sarebbe spuntata dal nulla di fronte all’ombra. Provò a non pensare agli occhi per non sentire ancore quel brivido; non c’era tempo e tutto doveva essere rapido, un secondo di errore e ci sarebbe stata ancora una fuga. Angela dal suo nascondiglio vedeva solo la macchia nera scivolare sul terreno. Lenta ma implacabile. D’un tratto però immobile, come se un improvviso vento gelido l’avesse cristallizzata. E invece era Marta d’improvviso apparsa da dietro il piccolo capanno di mattoni rossi ad averla sorpresa.
Gli occhi, pensò Marta, gli occhi non lasciavano dubbi. L’animale fiutò il vento combattuto tra la ritirata e la curiosità di sapere cosa quell’odore riservava. Lentamente Marta tirò fuori l’involto e dalla carta liberò i pezzi di carne e ossa che aveva trafugato a cena. Angela la vide avanzare di due passi e deporre a terra il cibo, ritornando subito dietro. L’animale fiutò ancora. Guardò la carne. Guardò Marta. Gli occhi scintillavano nel buio. Marte fece un cenno di assenso con la testa, mentre il brivido percorreva ancora le ossa della schiena. L’animale avanzò, tenendole d’occhio le mani.
Sapevo che non mi avresti abbandonata davvero, disse Marte. L’animale chinò il muso e provò a leccare un pezzo invitante.
È l’arrosto che ti piaceva, ricordi? Lo faceva mamma d’inverno. Con le castagne. L’animale addentò con voracità, lavorando di mandibola per avere la meglio sull’osso.
Non è stato facile sai? Ma sapevo che eri rimasto qui intorno, che avresti vigilato su me e Angela, ecco.
L’animale girò il capo verso il muro. Poi tornò a guardare Marta.
Era ridotta malissimo la bicicletta. La polizia ce la ridiede indietro dopo le analisi, ma Angela ha detto che era meglio buttarla via. Non se la sentiva di vederla sempre lì poggiata. Forse ha avuto ragione.
L’animale le concesse un ultimo sguardo prima di girarsi e trotterellare verso il muro. Gli occhi erano i suoi; ora che li aveva visti così da vicino non aveva più dubbi e lui era lì intorno, ma non avrebbe più fatto male alle sue galline. Di questo era certa. Aveva solo fame e adesso ci avrebbe pensato lei, come sempre, come quando erano piccoli e la mamma era nei campi.
Angela, dall’alto aveva visto l’animale balzare sulla cassa poggiata al muro e guadagnare la cima per scomparire oltre in un rumore di foglie e rami spezzati. S’era messa sotto le coperte, fingendo di aver già preso sonno. Marta era entrata nella stanza e lentamente s’era svestita e distesa accanto. Sul comodino la foto di lei e del fratello brillava alla luce tenue della luna nel frattempo sorta. Stavano abbracciati e lui cavalcava la bicicletta nuova fiammante, nella sua tenuta da corsa. Sorrideva e i suoi occhi, quegli occhi, erano quelli dell’ombra che nella sua tana provava a trovare pace.
Angela accennò un sorriso e con dolcezza le strinse una mano.
Sai che quando è iniziato il racconto ho pensato: magari l’animale è un essere umano…
O l’essere umano è un animale
Grazie per la lettura