I want to break free

Pubblicato: 7 gennaio 2019 in Uncategorized

Ieri ho visto Bohemian Rhapsody, un film che ho seguito con piacere. Eppure qualcosa non mi è quadrata quando si è spenta l’ultima nota di The show must go on sui titoli di coda. Non riuscivo a capire quanto quella storia raccontasse il personaggio complesso e fragile di Freddie Mercury e una band come i Queen. Per carità Malek fa un lavoro egregio e anche gli altri del cast, ma forse davvero serviva Baron Cohen con la sua scanzonata perfidia e una sceneggiatura molto meno edulcorata.
Quello che per fortuna prevale, nonostante fossero solo sosia dei protagonisti reali, è comunque la musica e la carica del performer per eccellenza. Malek è stato bravo nel far rivivere per due ore e passa il genio di Freddie, ma da un biopic mi sarei aspettato di racconto di quello che Mercury e i suoi sodali erano una volta scesi da quel palco. Avrei voluto leggere l’incapacità di smettere i panni della rockstar, reale o alimentata dallo star system industriale. La rivolta cieca dei diversi catapultati nel tritacarne della ricchezza sfrontata e che non vogliono altro che bruciare come la candela dai due lati. Manca l’horror vacui della vita in mezzo alla folla e la necessità vitale di questa solitudine vociante. Non ci sono nemmeno le fiamme purificanti della creazione dei brani più sofferti.
Ragazzi, troppi buoni sentimenti, troppi figliol prodighi che tornano a casa contenti di trovare a tavola il vitello grasso. Se credete che quel mondo sia questo, se pensate che l’arte in generale sia questo, allora il film può essere adatto allo scopo. Ma la verità è che manca il dolore, quella faccenda che alla fine rende affascinante Mercury e il suo mondo smodato che nel film rischia di essere poco più di un circo burlesque. Mancano i nani deformi e le scie di cocaina offerte dalla casa, il vomito e gli angoli affollati di corpi tremanti con i postumi. Manca la necessaria prestazione sessuale da contratto discografico, etero o meno non importa. Manca tutto quello che da ragazzi degli anni 80 in fondo abbiamo tragicamente desiderato. Troppo facile oggi ritrarre il resto della band in versione casa e chiesa, mentre simula un improbabile disgusto con mogli a fianco. Sono queste dosi di dolore e follia, che in vari momenti ci siamo trovati a ingollare, che abbiamo chiamato gioventù. Ecco cosa manca al film per me, manca la violenza dei ragazzi che vogliono bruciare in fretta, senza protezione alcuna. Manca quello che era Brian May quando inforcò per la prima volta la Red Special. Un ragazzo che forse solo in quel modo riusciva davvero a piangere e a sentirsi vivo.
Non bisogna cercare buoni esempi in loro, come non ci chiedevano agli artisti di Montmartre persi nell’assenzio o a Caravaggio. Serve invece la luce vivida e fugace di quella candela che ha illuminato una certa notte d’amore, una corsa in macchina, una pisciata contro un muro, il vomito disperato di un amico. Ci serve qualcuno che inciti a odiare davvero i propri genitori, per poter andarsene via da casa senza rimorsi e tornare un giorno infelici ma adulti.
Spesso alla gioventù non si sopravvive perché s’ignora che la vita e la morte sono separate da un leggero foglio di carta crespa. Non ti ci puoi appoggiare se perdi l’equilibrio, perché è un attimo precipitare. E Freddie era questa roba qui, destinato a non sopravvivere, uno dei belli di Bukowski, di quelli che non ce la fanno. Che non ce la vogliono fare. “Una lunga fiammata, mentre i vecchi giocano a dama nel parco.”
È il tentativo di May e Taylor di cancellare i demoni da questa storia che non mi è piaciuto, sostituendoli con consolatorie cattive compagnie. Come se bastasse questo per liberarci dal male e fare finta di non vederlo sul percorso dissestato dove avviamo i nostri figli. Che piaccia per questo, a noi che abbiamo superato l’età di Freddie, la riscrittura del passato dei Queen? Relegare tutto nell’allucinazione collettiva della nostra generazione, cancellata dai buoni propositi dei nuovi anni, ogni dannato anno. Fare finta che quell’ultimo abbraccio del padre e del figlio sia davvero plausibile, quando la vita ci mostra ben altri scenari densi di ipocrisia prima della morte.
Ecco, alla fine il film, al netto della musica e degli attori, è vuoto: anche io avrei preferito che la storia di Farrokh e dei Queen fosse davvero questa, segno che per fortuna con May e Taylor siamo sopravvissuti e serenamente invecchiati, al contrario di Freddie che, ci piaccia o no, all’inferno brucia ancora di precaria gioventù, mentre noi vecchi giochiamo a dama nel parco.

🙏 Sayonara

commenti
  1. newwhitebear ha detto:

    certo che portare sullo schermo, grande o piccolo, quello che è stato in realtà Mercury e i Queen sarebbe stata un’impresa titanica per superare l’ipocrisia bigotta di una bella fetta della società.

  2. tonyborghesi2005 ha detto:

    Una tua recensione del film che mi ha convinto ancor più a non andare a vederlo. Non era comunque il mio genere e nemmeno la mia generazione. Noi la bruciavamo alla maniera di James Dean. Sei sempre un grande scrittore.

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